Con uno sguardo al futuro, che è oggi, proviamo a tracciare un bilancio di un anno di grandi rivolgimenti che hanno attraversato anche il nostro settore.
La progettazione dello spazio vive un fermento nuovo e di conseguenza la nostra professione. La pandemia segna nelle vite di tutti noi uno spartiacque storico e cognitivo: mondo di ieri che si attarda e mondo di oggi, ancora non del tutto delineato ma pienamente presente. Una parola meglio di altre riassume il nostro tempo: complexity [1], complessità, intesa come incapacità di comprendere un reale quanto mai frammentario, stante la scomparsa dei vecchi punti di riferimento. È anche il momento, forse fin troppo rimandato, per tracciare un bilancio dello sviluppo urbano e, grazie ai segnali che ne stanno emergendo dalle nostre città, messe mai come oggi alla prova, per trovare nuove direttrici o seguire le migliori che già avevamo intuito.
L’evaporazione delle persone dagli spazi pubblici, siano essi lavorativi o di aggregazione, è stato il cambiamento più appariscente che continua oggi con la compressione del tempo sociale. Una scomparsa non priva di controindicazioni: lo svuotamento dello spazio pubblico, infatti, secondo Fiorenzo Galli, Direttore Generale del Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, porta con sé anche seri rischi per tutti quei momenti collettivi che vi si alimentavano. “Perdere la fisicità del possesso del territorio vuol dire perdere il contatto con i luoghi di nascita e di elaborazione del pensiero” ha spiegato Galli. Ciò può compromettere anche la democrazia stessa [2] che vive di dialogo, scontro, condivisione (di spazi, anche) sintesi.
Parimenti ha fatto riemergere la centralità della casa come scrigno non solo degli affetti e che, di contro, si porta dietro i più svariati problemi organizzativi e gestionali. La condivisione di uno spazio tra più persone è tutt’altro che agevole, a maggior ragione quando si deve lavorare, cercando di avere da casa la concentrazione richiesta da una modalità di lavoro alternativa come lo smart working che implica non di lavorare per un tempo prestabilito ma per obiettivi concordati con l’azienda [3]. Sul versante opposto come non citare le svariate fragilità che sono riesplose, come non citare chi era solo prima, magari confinato nelle aree periferiche della città ridotto ad una marginalità ulteriore e senza prospettive. Poveri, nuovi poveri, working poors, in Germania gli Hartzer ovvero i percettori del reddito minimo ingabbiati nella trappola della povertà. Chi era al margine lo è stato e lo è ancor di più. Questo impone di pensare ad un’edilizia collettiva più umana e “generosa” per riprendere un termine caro a Sarah Whiting: con spazi aperti e comuni più inclusivi.
Queste indicazioni sono preziose per capire ove orientare il nostro lavoro, sono basilari per capire le esigenze, le richieste, gli stimoli e le sfide del contemporaneo. Il nostro Studio fin dalla sua fondazione opera nei campi che abbiamo analizzato fornendo soluzioni che integrino uomo e natura (è molto importante puntare sulla sostenibililità, anche sfruttando il Superbonus 110%), che favoriscano la condivisione degli spazi e dei momenti collettivi, oggi più che prima da valorizzare in sicurezza, e dello spazio domestico. Questi alcuni dei nostri progetti:
- Ambiente e uomo in sincronia: VILLA MACIA 02 – sei architettura
- Edilizia ad uso pubblico e spazi comuni: LA MENSA DELLE STAGIONI – sei architettura
- Rigenerazione urbana: 3° PREMIO CONCORSO RIQUALIFICAZIONE COMPARTO STORICO “SANT’AGOSTINO” – COMACCHIO – sei architettura
Bibliografia
Domusweb, “domusforum 2020 – dieci parole chiave per ripensare il futuro urbano”, 04/11/2020;
Domusweb, “Le ragioni stesse della democrazia sono in discussione”, 12/11/2020;
ADN Kronos, “Tiraboschi, ‘smart working? Perché duri occorrono investimenti in formazione'”, 04/04/2020.